La Cultura dell’Assessore

“…In questi mesi abbiamo visto che possono trionfare la passione, l’impegno, il rispetto; abbiamo dimostrato che si vince con le persone, la nostra ricchezza siete voi, siamo noi. In questi mesi noi siamo andati sulla luna con un aeroplanino di carta, eppure siamo arrivati sulla luna.“
Giuliano Pisapia – Discorso conclusivo campagna elettorale – Piazza Duomo luglio 2010

L’Assessore alla Cultura del Comune di Milano (probabilmente per fedeltà a un voto di silenzio) non risponde alle lettere. Non a quelle poco edificanti, almeno, impegnato com’è nella costruzione di una propria statua di pubblico incensamento. Forse rinverrà a primavera inoltrata, com’è successo quest’anno, a ridosso del calcio d’avvio al Primo Festival della Letteratura di Milano. Rispettosi di questa strana sindrome di stipsi epistolare proveremo da qui in poi a comunicare tramite lettere aperte, sperando che uno dei suoi tanti piccioni viaggiatori possa fargliele avere, prima o poi, magari al prossimo vernissage.
Succederà sicuramente (guarda quanto siamo malpensanti) come lo scorso anno. A ridosso del fatto i suoi collaboratori si faranno vivi, assicurando di non avere mai ricevuto nemmeno una riga delle tante missive spedite, dichiarandosi disposti a collaborare quando ormai tutto è fatto e  giurando, soprattutto,  di non avere nemmeno un soldo da elargire, quindi basti il pensiero.
Di seguito a questo tardivo risveglio, e sulla scia di una volontà di partecipazione facilmente individuabile dalle adesioni al nostro evento, l’Assessore aveva indetto allora tre giorni di incontri all’Ansaldo – le giornate dell’O.C.A. –  alle quali siamo stati invitati, insieme a qualche centinaia di altri soggetti impegnati in ambito culturale, in tutta la città. A titolo assolutamente gratuito, mancherebbe altro, ma a chi può venire in mente di pensare ai soldi, fatti come siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni? Così venne conformata in fretta e furia una kermesse di insostenibile leggerezza, della quale si è persa ormai ogni impronta, ogni costrutto, nata dal tentativo di contrastare la memorabile figuraccia rimediata nei pressi di Macao.
Giorni dopo la chiusura ci arrivò una mail da parte dell’ufficio competente nella quale si scusavano per aver dimenticato di inserirci nel calendario, nonostante l’invito e le nostre proposte di partecipazione. E’ stata una svista dei ragazzi di Esterni, dissero, stremati com’erano dall’enorme mole di lavoro svolto (sic).
Avremmo saputo dopo che Esterni era un’agenzia di organizzazione di eventi, tra le più potenti in città, e che ai ragazzi di Esterni erano stati liquidati  cinquantamila  (50.000) euro per il suddetto lavoro, dopo un bando aperto e chiuso in tempi record, quasi confezionato alla loro misura (si sa come crescono i ragazzi) e senza alcun tipo di concorrenza.

Nella cultura dell’Assessore alla Cultura non trova posto l’idea (da noi più volte sostenuta) che ci sia un altro modo di trattare la materia in cui, volenti o nolenti, siamo tutti coinvolti. Che la cultura appartenga a tutti (come l’aria, come l’acqua), che in essa  abbiamo tutti  il diritto, quindi anche l’obbligo, di impegnarci, cercando di sottrarci a quelle due opposte derive di cui parla Franco Cassano (Homo Civicus, Edizioni Dedalo, 2004), cioè il totalitarismo, che fa di noi dei sudditi, e il mercato, che ne fa dei clienti.
Così, ignorando l’esperienza di un Festival sostenuto soltanto dalla passione di centinaia di volontari che decisero di lavorare gratis (tutti quanti, dagli organizzatori ai partecipanti) per metterlo in piedi, una manifestazione costituita da quasi novanta eventi, svoltasi in tutta la città, a costi zero (0) per la comunità ed esempio concreto di un modo insolito, quantomeno per Milano, di affrontare il fatto culturale, l’Assessore decide di indirne uno tutto suo, a pochi mesi di distanza, con partenza questa volta dal capolinea opposto, cioè dai salotti buoni dei grandi imperi della comunicazione. Quell’editoria da supermercato che ci elargisce sapientemente l’una e l’altra versione della democrazia culturale, in empori sempre più vasti, in spazi appositamente conformati intorno ai nostri più impellenti doveri di consumo, dallo scaffale di Saviano alle piramidi di Fabio Volo e di Paulo Coelho, tra le infinite sfumature di grigio e l’ultimo derivato del presentatore televisivo di turno, passato in un battibaleno tra la schiera degli scrittori, in un paese dove al maialino Babe sarebbe stato conferito lo status di attore, davanti al fatto inconfutabile di aver preso parte a un film.

Ma la cosa sconcertante è che questa enorme corazzata decide di mollare gli ormeggi sbandierando gli stessi principi da noi enunciati, le stesse parole, i medesimi obbiettivi, come è facilmente desumibile dal confronto tra gli inviti e i comunicati  con cui è partita la nostra avventura (si trovano nel sito e su alcune pagine di questo blog) e le dichiarazioni divulgate a mezzo stampa da Boeri e da Mauri.
Sarebbe da ringraziarli per la lusinga, il riconoscimento al fatto che eravamo sulla scia giusta, non fosse per l’avvilente sensazione di stare subendo una rapina da chi dovrebbe invero proteggere il nostro operato, dall’idea  di appartenere (finalmente) a una comunità in cui prevale quel equilibrio delicato e prezioso (sono sempre parole di Franco Cassano) tra diritti e doveri, attenzione e passione, emozioni e progetti, ambizioni private e pubbliche virtù.

In ogni modo, in attesa del cambiamento, noi continuiamo a lavorare in vista dell’edizione 2013 del Festival della Letteratura di Milano. Perché ci teniamo. Perché crediamo in quello che stiamo facendo. Perché siamo caparbi e passionali. Perché lo sapevamo dall’inizio che non avremmo avuto vita facile. Per questo ce la metteremo tutta. Per far diventare la nostra creatura più grande, più partecipativa e più fastidiosa che mai.
E, ultima ma non meno importante, anche per regalare qualche idea da usare in futuro a chi sembra esserne rimasto a secco.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui le leggi assicurano una giustizia eguale per tutti, ma non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Qui ad Atene noi facciamo così. (…)
Ci è stato anche insegnato  di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è di buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così. 


Pericle, Discorso agli Ateniesi, 461 A.C

Milton Fernàndez
http://www.festivaletteraturamilano.it/
direzioneartistica@festivaletteraturamilano.it

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Viaggio a San Prospero

Non sono mai stato a San Prospero. A dire la verità, non avevo mai sentito nemmeno parlare di un paese chiamato San Prospero.
Tra qualche giorni ci andrò, anzi, ci andremo insieme un gruppo di amici, la maggior parte dei quali, scommetto,  non aveva mai sentito parlare di San Prospero.
Di lui sappiamo che si trova nei pressi di Parma. Che è stato devastato dal terremoto. Che alcuni dicono non esista più, che ciò che troveremo non è che una tendopoli nella quale è costretta a sopravvivere gran parte dei suoi abitanti, da circa un mese. Alle prese anche loro con rotture canicolari che spirano da ogni dove.  Quelle che, nel caso di San Prospero  e della sua gente – di tanta altra gente, costretta a sopravvivere nelle tendopoli – assumono in questi giorni dimensioni drammatiche, col loro sovraprezzo di sofferenza inflitta a chi di sofferenza ne ha già fatto incetta. A chi non ha più niente da perdere, tranne forse la speranza.
Il 28 luglio partiamo da Milano, in un pullman raccattato tra mille difficoltà da un gruppo di amici, molti di loro arrivati da lontano, quegli italiani nati altrove capaci di continuare a sentire sulla propria pelle il dolore degli altri. Persone straordinarie, raggruppate in associazioni come Alpiandes, Proficua, El Caleuche, Impresa Etnica. Come coloro che resero quest’anno possibile quel mirabile contenitore di conoscenza, cultura e calore umano che abbiamo chiamato Festival della Letteratura di Milano.
Perché ci andiamo a San Prospero?
Perché volendo dare una mano, lì siamo stati indirizzati dalla  Protezione Civile.  Perché ci hanno raccontato delle infinite difficoltà che affronta ogni giorno la sua gente, che i telegiornali hanno smesso da tempo di raccontare, presi come sono dai balzi dello spread e il gossip di stagione.
Perché ci hanno parlato di giornate lunghe un secolo, a ridosso di ciò che una volta è stata la vita vera. Quelle strade millenarie che soltanto ieri s’incuneavano tra  case, scuole, biblioteche, piazze, teatri, balere…  e che ora finiscono lì, a due passi, proprio dove si appanna lo sguardo. La certezza  di un’esistenza lineare e priva di sussulti che, idealmente, doveva durare un’eternità,  ed è invece svanita in un lampo.
Con noi porteremo dei libri, da leggere insieme, da lasciare per le giornate in avvenire. E, anche se l’abbinamento può risultare stravagante, del cibo per animali. Che ci sono, anche se nessuno ne parla. Che contribuiscono a fare  meno pesante la quotidianità dei tanti anziani e dei tanti bambini. Che hanno dei bisogni elementari, tali e quali a noi, anche se spesso ci appaiono trascurabili.
Se qualcuno volesse collaborare può farlo in questo modo. Portandoci  un po’ di libri (di quelli già letti, oppure comperati apposta per l’occasione), facendoci arrivare del cibo per quegli animali domestici, regalandoci idee, auguri, speranze, che saranno prontamente ridistribuiti.
Nel frattempo, noi ci prepariamo alla trasferta.  Musicisti, scrittori, ballerini, animatori, raccontastorie, artisti plastici,  educatori… una variopinta congrega formata quasi esclusivamente  da nuovi cittadini, somma e sintesi di un laboratorio di convivenza umana che insistiamo a chiamare MilanoMondo. Da noi tutti conformato. I muscoli segreti di una società vocazionalmente Civile, nonostante i numerosi tentativi di annientamento.
Gente convinta, perché lo ha provato sulla propria pelle, che ci sia data sempre una seconda opportunità, e una terza, e una quarta…  a patto di saperla cercare,  che nulla sia ancora perso finché continueremo a trovare il coraggio di proclamare che abbiamo perso ogni cosa,  e che bisogna ricominciare dal principio.

Milton Fernàndez
milanofestivalanno1@gmail.com

L’altra parte del giorno

Giovedi 5 luglio, alle 10.30, il Festival della Letteratura di Milano supererà i cancelli di San Vittore, quel mondo così a portata di sguardo, eppure lontano anni luce dal nostro assiduo quotidiano. Il pretesto sarà quella promessa iniziale, alla quale aderirono quasi tutte le casi editrici presenti nell’edizione che si è appena conclusa, alla quale teniamo in modo particolare: donare alle biblioteche del carcere (ce ne sono diverse) una copia di ciascun libro presentato. Forse si tratta nient’altro che di un abbaglio, ma ci illudiamo di poter portare una piccola ventata di aria all’interno di quelle mura, non nuova e nemmeno tanto fresca, non sufficiente a spalancare porte e finestre sbarrate da secoli, ma a collegare, forse, mondi non del tutto diversi, come vorrebbero farci credere; quell’altra parte del giorno che vive e palpita a due passi del nostro.

E ci sarà modo anche di parlare di future occasioni, da creare insieme, da inventare un pezzo alla volta. Un ponte di parole in libera circolazione, in entrambi i sensi di marcia. Quelle che, nonostante gli infiniti tentativi, nessuno è mai riuscito a imprigionare.
Milton Fernàndez

La fabbrica del Festival

Ci sono voluti un po’ di giorni per rinvenire un minimo di obbiettività tra la marea di strascichi emotivi lasciati in giro dai cinque giorni di incontri nell’ambito del Primo Festival della Letteratura a Milano. Per abituarci all’idea che tutto fosse già successo.  Andato. Che bisognava ricominciare dal Principio.
Ora proviamo a ragionare con l’altra parte del cervello. Ammesso che ci riesca. A imporci di essere razionali. A valutare riuscite e imprecisioni. Intuizioni e abbagli. A dare i numeri, in una società che di numeri ne fa incetta. Dei quali sembra non si possa fare a meno. L’immancabile indice di comprensione dei fenomeni che la travolgono, una volta finita la sbornia dei sensi.

Ci sono stati 5 giorni, dicevo, che hanno conformato questa prima volta;  trentatré (33) luoghi di incontro,  trenta (30) case editrici partecipanti,  ottantasette (87) eventi legati alla Cultura, nella sua più ampia asserzione,  cento (100) scrittori,  quarantotto (48) tra musicisti, attori e danzatori, venti (20) associazioni culturali coinvolte, sette (7) giornalisti impegnati direttamente sul campo, sei (6) docenti universitari, un (1) magistrato, un (1) sociologo, un (1) gruppo di book bloggers, cinque (5) pubblicazioni specializzate, sette (7) film, tre (3) mostre,  quattro (4) reading poetici indoor,  quattro (4) a cielo aperto,  due (2) passeggiate con l’autore, una (1) passeggiata poetica, tre (3) concerti, cinque (5) spettacoli teatrali, un (1) gioco di coinvolgimento intorno alle parole, destinato ai bambini, uno (1) destinato agli adulti… più circa duecento (200) volontari impegnati a più titoli nell’organizzazione del tutto,  pressappoco quattromila (4.000) presenze reali di un pubblico ancora in formazione, che ci ha aiutati a diffondere le diverse iniziative,  che speriamo di poter informare meglio nella prossima edizione, visto che in quella odierna, la mancanza di risorse ci ha imposto di dover fare a meno di qualsiasi forma di supporto pubblicitario.
Perché non so se l’ho già detto, ma tutto ciò è avvenuto senza un (1) soldo di contributo da parte di chicchessia, contando soltanto sulla caparbia determinazione di ciascuno, quell’ordine stravagante dei singoli fattori, in direzione ostinata e contraria, che finì per alterare, mirabilmente, il prodotto.
Ci sono state (ci sono) anche alcune voci di dissenso. Persino delle polemiche. Certune innescate da motivazioni che abbiamo provato a sviscerare, per cercare di capire. Altre come espressione di uno spirito nazionale amante degli sport poco impegnativi, senza le quali si farebbe fatica a capire che siamo sulla scia giusta.

Come dicevo, ci siamo rimessi già al lavoro. Se posso fare un augurio al Festival che verrà, è quello di non farsi travolgere da quei numeri. Di non perderli di vista, certo, perché sono importanti per coloro che forse vorranno aiutarci in futuro, ma senza smarrire i propri punti cardinali. Di poter andare avanti, convinti, come lo siamo stati finora, che i mezzi siano tanto importanti quanto il fine.
Da settembre cercheremo di fare arrivare all’intero mondo editoriale il nostro appello. Lo abbiamo fatto anche l’anno scorso, ma per qualche strana ragione non sempre fu preso in considerazione. Per questo è che chiediamo a tutti una mano nello spargere la notizia. Perché nessuno possa dire di non averlo ricevuto.
Ci piacerebbe che potessero partecipare tutti quanti, che siano invogliati a farlo. Piccoli, medi e grandi editori.
A parità di condizioni.
Mi auguro anche che i giornalisti della grande distribuzione possano smetterla di chiedere la fotografia dello scrittore di punta, a Festival iniziato, finalmente convinti che ciascuno degli scrittori partecipanti è uno scrittore di punta.
Che sulla scia di un percorso orizzontale la cultura possa riprendere il suo viaggio imprevedibile, critico, sovversivo, quello che si cerca sempre di ricondurre tra i canoni della ragione, che faceva metter mano istintivamente alla pistola qualche gerarca di triste memoria, che continua a provocare attacchi indiscriminati di prurito nei salotti radical-chic del nostro quotidiano divenire.

In questi giorni abbiamo inaugurato la Fabbrica del Festival. L’opificio virtuale delle idee in libera circolazione.  Inutile aggiungere che l’invito a parteciparvi è esteso a tutti quanti. Quelli che con noi, quest’anno, ci sono già stati, e che di quell’ invito possono farne a meno, perché hanno ormai le chiavi di casa. Coloro che si aggiungeranno strada facendo, che  hanno già preannunciato il loro arrivo.
Benvenuti in cantiere. L’anno venturo è iniziato ormai da qualche giorno.

 Milton Fernàndez

Ai tanti compagni di viaggio

 di Milton Fernàndez

Oggi comincia il Primo Festival della Letteratura a Milano. Lo scrivo con una certa emozione, e, mentre lo faccio, mi accorgo di star scrivendo una banalità.  Perché questo viaggio stupefacente è iniziato molti mesi fa, forse proprio mentre lo si sognava, o nel preciso istante in cui qualcuno decise di prestare attenzione al racconto di quel sogno, facendolo diventare proprio.
Ci sono stati ostacoli a non finire, in questi primi tentativi di navigazione. Non saprei dire, tra questi, quelli che ci hanno impegnati di più. Se la diffusa diffidenza iniziale, alla quale siamo andati incontro con una certa consapevolezza, o i tanti limiti personali, che abbiamo imparato a conoscere, strada facendo. Che abbiamo cercato di superare, non sempre con successo.
Per quanto possa valere, come inventario dei primi tratti, la cifra di quei giorni è stata tanta fatica,  dedizione, passione, caparbietà.  Uno per cento di ispirazione, come sosteneva il buon Edison, e novantanove per cento di traspirazione.
In questi giorni, proprio a ridosso del varo, molti nomi diventati man mano familiari hanno finalmente  assunto una faccia, una mano da stringere, una voce da non dimenticare.
Qualche tempo fa, quando gli esiti di quella fatica erano quanto mai incerti, quando non era per niente scontato il risultato di una simile sfida, quando ci guardavamo tra di noi, alle volte perplessi, e ci chiedevamo per quale strano sortilegio avessimo deciso di buttarci in un’avventura del genere, finivamo per concordare che qualunque fosse stata la causa, o il il risultato finale, sarebbe comunque valsa la pena. Per diversi motivi.
Non ultimo, l’incontro con quei nomi diventate facce, le tante mani, le infinite storie che finirono per incrociarsi con le nostre fino a conformare ciò che ieri sembrava impossibile e oggi avrà invece inizio.
Vorrei poter dire personalmente grazie a ciascuno di voi, sinceramente. Per tutto quello che ci avete dato.
Vorrei poter anche chiedervi scusa per gli errori fatti (che abbiamo cercato comunque di tamponare in tempi brevi), per le sviste, i refusi, le imperfezioni. Abbiamo combattuto con il tempo e la fatica,  non sempre ad armi pari, ma vorrei che fosse chiaro per tutti,  che, in ogni caso, abbiamo agito in buona fede e con la miglior energia che abbiamo in corpo.
Criticateci, fateci notare dove abbiamo sbagliato, questo di sicuro ci aiuterà a crescere. Ma fatelo, per favore, con gentilezza, so che avremo la pelle più sottile del solito alla fine di questi giorni.
Il dieci sera ci troveremo, spero tutti quanti. A festeggiare la fine di questa prima volta, a scambiarci esperienze, aneddoti, successi; a capire cosa non ha funzionato a dovere, a cominciare a pensare a quella che verrà.
In questi giorni una parola mi ha attraversato la strada, ripetutamente,  una parola non mia fino a ieri, che mi affascina in modo particolare, che ha una particolare, indefinibile,  consistenza, una di quelle che  continuano a risuonare in bocca una volta articolate: Ubuntu. Pare sia d’uso comune tra le popolazioni Zulu di stanza nell’Africa meridionale. Pressapoco vuol dire: Io sono perché noi siamo.
A mio parere lo spirito di questo Festival. Pressapoco.

Perché un Festival della Letteratura a Milano?

Si rumoreggia che nel 2012 finirà il mondo. Pare l’abbiano detto i Maya, ma non si trova traccia nelle intercettazioni. C’è qualche disaccordo perfino tra i traduttori. C’è chi sostiene, ad esempio, che in verità quello che accadrà non sarà proprio la fine del mondo, ma un cambiamento epocale che coinvolgerà l’intera umanità.
Non so a voi, a me la prospettiva piace. Per questo credo valga la pena lanciarsi in una di quelle  avventure che prima non avremmo mai osato nemmeno immaginare. Una di quelle che da subito si presentano in tutta la loro sconcertante complessità, col loro carico di magagne, scombussolamenti dei propri ritmi, fatica, complessità. Quelle dalle quali, sappiamo, non torneremo indietro interi. Quelle che, se ci fermiamo un attimo a pensare, pur tentati, finiamo per rimandare all’anno successivo. Ed ecco che torna la profezia di cui sopra.

Rientrando in tema. Perché creare un Festival della Letteratura a Milano?
Mi vengono in mente soltanto due o tre risposte (di sicuro ce ne sono a migliaia). La prima: perché non c’è. La seconda, perché credo sia necessario. La terza, perché penso che è proprio quando ci si trova in balia della paura e dell’incertezza che si sente più forte il bisogno di bellezza.
Perché so (e poi mi fermo) per averlo già vissuto, che l’esercizio della fantasia è l’unico antidoto contro una realtà corrosiva fatta di cifre che ci sforziamo di capire senza riuscirci, nella quale il più delle volte finiamo per accettare che la somma di due più due sia quattro.

L’idea di base è quella di una rete cittadina composta da librerie, biblioteche, teatri, scuole, università, centri sociali, piazze, androni, cortili, stazioni, tram… e ovunque ci venga concesso uno spazio nel quale fare incontrare la gente con la gente. La gente che scrive e quella che legge, la gente che recita e quella che assiste, la gente che canta, che s’incanta, che suona, che stampa, che disegna, che racconta, che soffre, che denuncia, che ammalia…
Trasformare la città da bere, in una città da leggere, per qualche giorno della sua vita. Invitandola a fermare la sua corsa, soltanto un istante, e a respirare un’aria diversa.
E provare a trasformare quel filo vivente delle mille e più realtà culturali che sferragliano senza sosta in una metropoli dalla vocazione cosmopolita, in un tappeto variopinto, forse quello sul quale transitare, Maya permettendo, verso le edizioni successive.

In questo stiamo. Chi volesse prendere parte all’avventura insieme a noi, sappia che è il benvenuto. La sfida parte dal basso, da un’idea di partecipazione collettiva che spesso fa a pugni con le logiche del mercato, e qualche volta (a patto di battersi con passione) riesce ad avere la meglio. Scriveteci.

In attesa del mondo che verrà, noi vogliamo provare a ricrearlo. In fin dei conti, come sostiene Eduardo Galeano “agire sulla realtà e trasformarla, anche in infima parte, è l’unica maniera di dimostrare che la realtà è trasformabile”.