“La verità è una forma di giustizia perché genera verità” (Roger Rodríguez)
Si è parlato del Piano Condor, ieri sera, del processo che si sta svolgendo a Roma contro i principali responsabili dell’organizzazione nata negli anni ’70 tra i militari golpisti al potere in Sudamerica per eliminare gli oppositori.
Si è parlato di desaparecidos e torturatori. Di giustizia, di libertà e, soprattutto, di impunità. Un concetto semplice eppur complesso. Che ne contiene tanti altri, che ha mille sfaccettature, ma che soprattutto è in grado di generare, nella sua attuazione, conseguenze immaginabili e inimmaginabili.
Aurora Meloni, vedova di Daniel Banfi, sequestrato in Uruguay e assassinato dai militari in Argentina negli anni Settanta, ci ha raccontato la sua esperienza (un esempio tra tanti, ci ha tenuto a dire).
Roger Rodríguez, giornalista uruguaiano, ce ne ha raccontate molte altre sulle quali indaga da anni.
Entrambi hanno parlato bene, senza dubbio, ma la cosa che colpiva di più era lo spessore delle loro parole.
Non c’erano commiserazione né autocommiserazione. Non c’era rabbia. C’era qualcosa di diverso. Un dolore con il quale forse erano ormai abituati a convivere ma che non per questo sembrava meno intenso. Un dolore che risuonava forte al di là delle loro voci ferme e decise. Che ci colpiva dentro. Che colpiva molti tra i presenti – che erano lì perché quelle situazioni raccontate le avevano vissute da (troppo) vicino, ma che colpiva anche noi che ne avevamo sentito solo parlare da lontano. Raccontato meravigliosamente anche in musica-poesia dal cantautore uruguaiano César Rivero.
Un dolore con una qualità particolare che si sentiva sulla pelle, un dolore che aveva dentro di sé una forza. Era mantenuto vivo dal desiderio di ricordare per poter raccontare.
Perché la memoria è necessaria affinché nulla di simile accada più. Ed è anche necessaria affinché nessuno rimanga impunito. Perché l’impunità, come ci spiegava bene Rodríguez, lascia campo aperto alla possibile reiterazione dei delitti – agisco così proprio perché so che tanto non verrò punito.
Sono felice che ci fosse la sala piena e sono felice di essere stata lì, perché sono convinta che da questo dolore, da questa memoria, ne siamo usciti tutti più ricchi.
Più consapevoli dell’importanza della giustizia e della verità anche nei piccoli gesti quotidiani. E non credo sia poco.
Ci saranno altre serate come questa.
Noi del Festival della Letteratura, nel nostro piccolo, la scarsa memoria e l’impunità le combattiamo così.
Cristiana Zamparo (Festival della Letteratura di Milano)
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Appuntamento per l’11 settembre 2014
Dal 1976 al 1985 migliaia di esseri umani vengono divorati dalla dittatura militare argentina e oltre 500 bambini, loro figli, suddivisi come bottino di guerra.
Sono passati quarant’anni e le Madres de Plaza de Mayo, diventate poi le Nonne, ne hanno caparbiamente conservato memoria, semplicemente rifiutandosi di dimenticare e continuando a gridare con tutta la voce che avevano in corpo: NOI LI VOGLIAMO VIVI
Questi bambini, oggi donne e uomini, testimoni viventi di un’infamia che li ha voluti protagonisti, cominciano a riapparire e a far sentire la loro voce.
Questa serata è dedicata a loro.
Recital in parole e musica su testi di Mario Benedetti, Juan Gelman, Pablo Neruda.
Collegamento in diretta con l’Argentina con i familiari di Ana Libertad la nieta n. 115, l’ultima ritrovata.
Interviste dal vivo con protagonisti di una storia nella quale siamo tutti coinvolti.
A cura di Milton Fernàndez