Non sono mai stato a San Prospero. A dire la verità, non avevo mai sentito nemmeno parlare di un paese chiamato San Prospero.
Tra qualche giorni ci andrò, anzi, ci andremo insieme un gruppo di amici, la maggior parte dei quali, scommetto, non aveva mai sentito parlare di San Prospero.
Di lui sappiamo che si trova nei pressi di Parma. Che è stato devastato dal terremoto. Che alcuni dicono non esista più, che ciò che troveremo non è che una tendopoli nella quale è costretta a sopravvivere gran parte dei suoi abitanti, da circa un mese. Alle prese anche loro con rotture canicolari che spirano da ogni dove. Quelle che, nel caso di San Prospero e della sua gente – di tanta altra gente, costretta a sopravvivere nelle tendopoli – assumono in questi giorni dimensioni drammatiche, col loro sovraprezzo di sofferenza inflitta a chi di sofferenza ne ha già fatto incetta. A chi non ha più niente da perdere, tranne forse la speranza.
Il 28 luglio partiamo da Milano, in un pullman raccattato tra mille difficoltà da un gruppo di amici, molti di loro arrivati da lontano, quegli italiani nati altrove capaci di continuare a sentire sulla propria pelle il dolore degli altri. Persone straordinarie, raggruppate in associazioni come Alpiandes, Proficua, El Caleuche, Impresa Etnica. Come coloro che resero quest’anno possibile quel mirabile contenitore di conoscenza, cultura e calore umano che abbiamo chiamato Festival della Letteratura di Milano.
Perché ci andiamo a San Prospero?
Perché volendo dare una mano, lì siamo stati indirizzati dalla Protezione Civile. Perché ci hanno raccontato delle infinite difficoltà che affronta ogni giorno la sua gente, che i telegiornali hanno smesso da tempo di raccontare, presi come sono dai balzi dello spread e il gossip di stagione.
Perché ci hanno parlato di giornate lunghe un secolo, a ridosso di ciò che una volta è stata la vita vera. Quelle strade millenarie che soltanto ieri s’incuneavano tra case, scuole, biblioteche, piazze, teatri, balere… e che ora finiscono lì, a due passi, proprio dove si appanna lo sguardo. La certezza di un’esistenza lineare e priva di sussulti che, idealmente, doveva durare un’eternità, ed è invece svanita in un lampo.
Con noi porteremo dei libri, da leggere insieme, da lasciare per le giornate in avvenire. E, anche se l’abbinamento può risultare stravagante, del cibo per animali. Che ci sono, anche se nessuno ne parla. Che contribuiscono a fare meno pesante la quotidianità dei tanti anziani e dei tanti bambini. Che hanno dei bisogni elementari, tali e quali a noi, anche se spesso ci appaiono trascurabili.
Se qualcuno volesse collaborare può farlo in questo modo. Portandoci un po’ di libri (di quelli già letti, oppure comperati apposta per l’occasione), facendoci arrivare del cibo per quegli animali domestici, regalandoci idee, auguri, speranze, che saranno prontamente ridistribuiti.
Nel frattempo, noi ci prepariamo alla trasferta. Musicisti, scrittori, ballerini, animatori, raccontastorie, artisti plastici, educatori… una variopinta congrega formata quasi esclusivamente da nuovi cittadini, somma e sintesi di un laboratorio di convivenza umana che insistiamo a chiamare MilanoMondo. Da noi tutti conformato. I muscoli segreti di una società vocazionalmente Civile, nonostante i numerosi tentativi di annientamento.
Gente convinta, perché lo ha provato sulla propria pelle, che ci sia data sempre una seconda opportunità, e una terza, e una quarta… a patto di saperla cercare, che nulla sia ancora perso finché continueremo a trovare il coraggio di proclamare che abbiamo perso ogni cosa, e che bisogna ricominciare dal principio.
Milton Fernàndez
milanofestivalanno1@gmail.com