Contest fotografico: Milano Che Legge

MilanoCheLeggeAl Festival Letteratura Milano vogliamo voi lettori.
Fotografa un libro a Milano e partecipa al contest Milano che legge con l’hashtag #milanolegge:  la foto deve chiaramente fare riferimento a un libro (il preferito, quello che si sta leggendo al momento, quello con la copertina più suggestiva…) e a un luogo di Milano riconoscibile; è possibile fotografare anche persone e qualunque soggetto purché non si leda il buon gusto e non siano rappresentate immagini violente e/o in contrasto con le norme vigenti relative al diritto di pubblicazione, alla tutela della privacy e a quella dei minori.
Il contest è valido su Instagram e scade il 20 maggio 2014.

Se vorrai inviarci la tua foto anche via email, la pubblicheremo qui, sul nostro blog; invia la foto con titolo, tuo nome e consenso alla pubblicazione su “FLMilano Blog” a: info@festivaletteraturamilano.it

Le foto più suggestive e originali, su giudizio del Festival, saranno esposte al Salone della Piccola Editoria (6-8 giugno). Verifica la risoluzione delle foto che scatti e conservane una versione ad alta risoluzione: ti verrà richiesta in caso di selezione per l’esposizione.
instagram: festivaletteraturamilano

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Grandi novita’

Grandi novità al Festival della Letteratura di Milano 2014 (4-8 giugno 2014)
Quest’anno, la formula ormai consolidata degli eventi diffusi per la città nei 5 giorni,
si arricchisce di nuovi spazi di incontro e condivisione

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Salone della Piccola Editoria,  presso la Ex-Fornace di via Gola
salone@festivaletteraturamilano.it

Venite a incontrare gli editori e ad assistere alle presentazioni con gli autori.

Vi aspettiamo, numerosi come sempre!

Primo incontro volontari per Festival 2014

FLMilano2013_CS01bGiovedì 24 ottobre alle 19.00 si terrà la prima riunione con i volontari del Festival della Letteratura Milano 2014.
Chi fosse interessato faccia un salto: vi racconteremo chi siamo, come siamo nati, come ci siamo mossi negli anni passati e come abbiamo intenzione di farlo quest’anno.
Soprattutto inizieremo a fare un piano di lavoro, tutti insieme, ognuno in base alle proprie disponibilità e capacità.
Perché il Festival della Letteratura è di tutti e, se lo vorrete, diventerà anche vostro.

Ci vediamo al Torchietto Bistrò, che gentilmente ci mette a disposizione lo spazio, in Via Ascanio Sforza 47.

Se siete intenzionati a partecipare solo alle giornate del Festival e non alla fase organizzativa, ovviamente non serve che veniate. Mandateci solo un’altra mail in cui ci definite questa vostra modalità di partecipazione.

Vi aspettiamo!

La cultura, la musica e i gelsomini

Arrivo al Chiostro dei Glicini dell’Umanitaria a incontro già iniziato, perdendomi per cortili: la pioggia ha obbligato a spostare la conferenza “Di che cosa parliamo quando parliamo di cultura?” in una delle sale interne. Entro mentre Massimo Arcangeli (linguista, critico letterario e consulente della Dante Alighieri) sta parlando dell’esigenza di creare un approccio più materico e visivo nell’avvicinare i più giovani alla cultura. Cita un aneddoto che ha a che fare con i suoi studenti e la giardinetta, tra cinema e letteratura. Perdo subito l’imbarazzo del mio ingresso ritardatario e affannoso, immaginavo un dibattito un po’ ingessato. Non lo è. Ci si pone ancora il problema della separazione tra cultura “alta” (i relatori mi perdoneranno: una delle missioni della serata è combattere le virgolette aeree, sostituiamole piuttosto con grasse parentesi!) e cultura popolare. Certo, non è un problema attuale, Gramsci docet. Non si trovano soluzioni immediate, ma tutti sembrano convenire che non si tratta di rendere pop ciò che non lo è. Pensiamo alle schitarrate da oratorio nei canti liturgici, per esempio (l’ispirazione di Lorenzo Arruga, moderatore dell’incontro, viene dal libro “Musica maledetta. Il trionfo della non-musica” di Mario delli Ponti. Basta un suo accenno a scatenare le nostre risate assenzienti!), dove la presunzione del moderno non è che una volgarizzazione in cui si perde completamente il rapporto tra il sacro e la bellezza. Si tratta, forse, di favorire l’incontro con la diversità, sia la diversità percepita come geografica, culturale, sociologica o condizionata dalla mancanza di strumenti necessari a comprenderla. Per cominciare potremmo prender spunto dai francesi, suggerisce Massimo Arcangeli, che hanno quasi abbandonato la loro identité (autodefinita) per identification (etero definita). Mentre Gaia Varon (docente universitaria, musicologa e conduttrice radiofonica) ci porta su un sentiero pratico parlando della sua esperienza a Radio3. Ci affascina con il suo racconto sul teatro di ricerca di Eugenio Barba, dove tradizione indiana, europea e sudamericana si fondono in un approccio performativo e antropologico, prima ancora che intellettuale. Si parla di condivisione, di internet, della voglia di fare cultura. Mi pare curioso che ad augurarsi un incontro reale, prima che virtuale, siano le più giovani, le ragazze che hanno occupato la libreria Ex-Cuem dell’Università Statale, che con stile e trasparenza hanno portato il loro messaggio: abbattiamo le barriere tra produttori e consumatori della cultura. Speriamo che sia l’inizio di un discorso da approfondire…

Si è passati da Petrarca, Tasso, Leopardi, Manzoni, alla letteratura della migrazione e ai cantautori dei nostri tempi che si sono cibati di narrazioni ottocentesche e poesia ermetica. Là proprio su quel muro/ci sono i nostri nomi cantava Enzo Jannacci.

Non ultimo, Milton Fernandez ci ha messo in guardia da un pericolo di cui poco si parla, la signora censura. Con pochi e visionari frammenti, ci ha riferito della sua esperienza in Uruguay, del teatro come resistenza alla dittatura militare. Dove la catarsi può venire dal racconto di un contadino che ingannò la morte o da un ombrello rovesciato che dai tetti di una casa studentesca di Montevideo capta i segnali di una radio cubana.

Soddisfatta e sognante, torno a casa con un’impensabile scoperta: di questi tempi se vai correndo sotto la pioggia per le strade di Milano, che tu sia in centro o in periferia, senti l’odore dei gelsomini.

Lisa

Il lessico famigliare di Gipo Anfosso

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All’interno della giornata del festival dedicata alla Resistenza, nel bellissimo giardino della biblioteca di Chiesa Rossa, ho avuto il piacere di presentare il libro di Gipo Anfosso “Ricordo tutto”. Circondati, noi, dal pubblico di lettori, si è animata una discussione intima e partecipata anche dagli ultimi raggi di sole.

“Ricordo tutto” è la storia di una famiglia e, soprattutto, di una figura paterna leggendaria e ingombrante – un partigiano, un medico dei poveri – rievocata nel tentativo di fissare la memoria minacciata dall’oblio della malattia. Una visione corale ed estremamente nitida di un momento storico condiviso, la resistenza, sul cui sfondo si va creando il profilo personalissimo di un amalgama culturale che comprende la Liguria, la provincia pavese, l’Istria austroungarica e fino l’Emilia Romagna: la preziosa lingua salvata del protagonista.

Elegantemente, Gipo Anfosso ci ha fatto entrare nel vivo dei suoi ricordi, ricchi di suggestioni letterarie, popolari e sonore. Con grande sensibilità e ironia.

Lisa

E non è che l’inizio!

Il festival ha avuto inizio, per me, allo Spazio Ligera con Marco Rovelli. Una voce tenorile e due occhi stretti e luminosissimi mi hanno raccontato la storia di Elsa e Karim, una giovane anoressica e autolesionista e un clandestino in fuga dalla Tunisia, prima, e da un centro di espulsione, poi. Si è parlato di immigrazione, di finzione vs realtà, di corpi e dell’amore (dal suo romanzo “La parte del fuoco”). Si è bevuto qualche bicchiere di vino e ci si è salutati con la sensazione di una condivisione breve ma inspiegabilmente profonda. Poi di corsa sulla 56. E’ solo un passaggio nell’ordinario che dura il tempo della traversata, perché non appena arrivo al Frida Caffè sono accolta dall’incanto malinconico delle note di Bagdad café (“Calling You”) che accompagnano la lettura di Sergio Paladino del suo romanzo “Marco e Tecla”, ormai al termine. Con un pubblico, folto e compiaciuto, di resistenti alla Milano da bere.

Lisa