I luoghi del Festival

163543_242542399218106_313178806_nOgnuno di noi ha un luogo preferito per dedicarsi alla lettura. Quale modo migliore per assecondare i gusti di tutti quindi, che quello di impegnarsi affinché il Festival della Letteratura sia ospitato da locali di ogni genere e gusto? Dalle biblioteche rionali alle librerie, dal circolo Arci al teatro, dai locali alla moda ai cafè di gusto parigino, dal centro sociale alla mediateca, siete voi a scegliere dove incontrare la letteratura. Non importa nemmeno se vi trovate nel centro città o se invece preferite quartieri più periferici, la letteratura dal 5 al 9 giugno sarà presente in tutta Milano. Venite a trovarci!

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La fabbrica del Festival

Ci sono voluti un po’ di giorni per rinvenire un minimo di obbiettività tra la marea di strascichi emotivi lasciati in giro dai cinque giorni di incontri nell’ambito del Primo Festival della Letteratura a Milano. Per abituarci all’idea che tutto fosse già successo.  Andato. Che bisognava ricominciare dal Principio.
Ora proviamo a ragionare con l’altra parte del cervello. Ammesso che ci riesca. A imporci di essere razionali. A valutare riuscite e imprecisioni. Intuizioni e abbagli. A dare i numeri, in una società che di numeri ne fa incetta. Dei quali sembra non si possa fare a meno. L’immancabile indice di comprensione dei fenomeni che la travolgono, una volta finita la sbornia dei sensi.

Ci sono stati 5 giorni, dicevo, che hanno conformato questa prima volta;  trentatré (33) luoghi di incontro,  trenta (30) case editrici partecipanti,  ottantasette (87) eventi legati alla Cultura, nella sua più ampia asserzione,  cento (100) scrittori,  quarantotto (48) tra musicisti, attori e danzatori, venti (20) associazioni culturali coinvolte, sette (7) giornalisti impegnati direttamente sul campo, sei (6) docenti universitari, un (1) magistrato, un (1) sociologo, un (1) gruppo di book bloggers, cinque (5) pubblicazioni specializzate, sette (7) film, tre (3) mostre,  quattro (4) reading poetici indoor,  quattro (4) a cielo aperto,  due (2) passeggiate con l’autore, una (1) passeggiata poetica, tre (3) concerti, cinque (5) spettacoli teatrali, un (1) gioco di coinvolgimento intorno alle parole, destinato ai bambini, uno (1) destinato agli adulti… più circa duecento (200) volontari impegnati a più titoli nell’organizzazione del tutto,  pressappoco quattromila (4.000) presenze reali di un pubblico ancora in formazione, che ci ha aiutati a diffondere le diverse iniziative,  che speriamo di poter informare meglio nella prossima edizione, visto che in quella odierna, la mancanza di risorse ci ha imposto di dover fare a meno di qualsiasi forma di supporto pubblicitario.
Perché non so se l’ho già detto, ma tutto ciò è avvenuto senza un (1) soldo di contributo da parte di chicchessia, contando soltanto sulla caparbia determinazione di ciascuno, quell’ordine stravagante dei singoli fattori, in direzione ostinata e contraria, che finì per alterare, mirabilmente, il prodotto.
Ci sono state (ci sono) anche alcune voci di dissenso. Persino delle polemiche. Certune innescate da motivazioni che abbiamo provato a sviscerare, per cercare di capire. Altre come espressione di uno spirito nazionale amante degli sport poco impegnativi, senza le quali si farebbe fatica a capire che siamo sulla scia giusta.

Come dicevo, ci siamo rimessi già al lavoro. Se posso fare un augurio al Festival che verrà, è quello di non farsi travolgere da quei numeri. Di non perderli di vista, certo, perché sono importanti per coloro che forse vorranno aiutarci in futuro, ma senza smarrire i propri punti cardinali. Di poter andare avanti, convinti, come lo siamo stati finora, che i mezzi siano tanto importanti quanto il fine.
Da settembre cercheremo di fare arrivare all’intero mondo editoriale il nostro appello. Lo abbiamo fatto anche l’anno scorso, ma per qualche strana ragione non sempre fu preso in considerazione. Per questo è che chiediamo a tutti una mano nello spargere la notizia. Perché nessuno possa dire di non averlo ricevuto.
Ci piacerebbe che potessero partecipare tutti quanti, che siano invogliati a farlo. Piccoli, medi e grandi editori.
A parità di condizioni.
Mi auguro anche che i giornalisti della grande distribuzione possano smetterla di chiedere la fotografia dello scrittore di punta, a Festival iniziato, finalmente convinti che ciascuno degli scrittori partecipanti è uno scrittore di punta.
Che sulla scia di un percorso orizzontale la cultura possa riprendere il suo viaggio imprevedibile, critico, sovversivo, quello che si cerca sempre di ricondurre tra i canoni della ragione, che faceva metter mano istintivamente alla pistola qualche gerarca di triste memoria, che continua a provocare attacchi indiscriminati di prurito nei salotti radical-chic del nostro quotidiano divenire.

In questi giorni abbiamo inaugurato la Fabbrica del Festival. L’opificio virtuale delle idee in libera circolazione.  Inutile aggiungere che l’invito a parteciparvi è esteso a tutti quanti. Quelli che con noi, quest’anno, ci sono già stati, e che di quell’ invito possono farne a meno, perché hanno ormai le chiavi di casa. Coloro che si aggiungeranno strada facendo, che  hanno già preannunciato il loro arrivo.
Benvenuti in cantiere. L’anno venturo è iniziato ormai da qualche giorno.

 Milton Fernàndez

Ai tanti compagni di viaggio

 di Milton Fernàndez

Oggi comincia il Primo Festival della Letteratura a Milano. Lo scrivo con una certa emozione, e, mentre lo faccio, mi accorgo di star scrivendo una banalità.  Perché questo viaggio stupefacente è iniziato molti mesi fa, forse proprio mentre lo si sognava, o nel preciso istante in cui qualcuno decise di prestare attenzione al racconto di quel sogno, facendolo diventare proprio.
Ci sono stati ostacoli a non finire, in questi primi tentativi di navigazione. Non saprei dire, tra questi, quelli che ci hanno impegnati di più. Se la diffusa diffidenza iniziale, alla quale siamo andati incontro con una certa consapevolezza, o i tanti limiti personali, che abbiamo imparato a conoscere, strada facendo. Che abbiamo cercato di superare, non sempre con successo.
Per quanto possa valere, come inventario dei primi tratti, la cifra di quei giorni è stata tanta fatica,  dedizione, passione, caparbietà.  Uno per cento di ispirazione, come sosteneva il buon Edison, e novantanove per cento di traspirazione.
In questi giorni, proprio a ridosso del varo, molti nomi diventati man mano familiari hanno finalmente  assunto una faccia, una mano da stringere, una voce da non dimenticare.
Qualche tempo fa, quando gli esiti di quella fatica erano quanto mai incerti, quando non era per niente scontato il risultato di una simile sfida, quando ci guardavamo tra di noi, alle volte perplessi, e ci chiedevamo per quale strano sortilegio avessimo deciso di buttarci in un’avventura del genere, finivamo per concordare che qualunque fosse stata la causa, o il il risultato finale, sarebbe comunque valsa la pena. Per diversi motivi.
Non ultimo, l’incontro con quei nomi diventate facce, le tante mani, le infinite storie che finirono per incrociarsi con le nostre fino a conformare ciò che ieri sembrava impossibile e oggi avrà invece inizio.
Vorrei poter dire personalmente grazie a ciascuno di voi, sinceramente. Per tutto quello che ci avete dato.
Vorrei poter anche chiedervi scusa per gli errori fatti (che abbiamo cercato comunque di tamponare in tempi brevi), per le sviste, i refusi, le imperfezioni. Abbiamo combattuto con il tempo e la fatica,  non sempre ad armi pari, ma vorrei che fosse chiaro per tutti,  che, in ogni caso, abbiamo agito in buona fede e con la miglior energia che abbiamo in corpo.
Criticateci, fateci notare dove abbiamo sbagliato, questo di sicuro ci aiuterà a crescere. Ma fatelo, per favore, con gentilezza, so che avremo la pelle più sottile del solito alla fine di questi giorni.
Il dieci sera ci troveremo, spero tutti quanti. A festeggiare la fine di questa prima volta, a scambiarci esperienze, aneddoti, successi; a capire cosa non ha funzionato a dovere, a cominciare a pensare a quella che verrà.
In questi giorni una parola mi ha attraversato la strada, ripetutamente,  una parola non mia fino a ieri, che mi affascina in modo particolare, che ha una particolare, indefinibile,  consistenza, una di quelle che  continuano a risuonare in bocca una volta articolate: Ubuntu. Pare sia d’uso comune tra le popolazioni Zulu di stanza nell’Africa meridionale. Pressapoco vuol dire: Io sono perché noi siamo.
A mio parere lo spirito di questo Festival. Pressapoco.

Perché un Festival della Letteratura a Milano?

Si rumoreggia che nel 2012 finirà il mondo. Pare l’abbiano detto i Maya, ma non si trova traccia nelle intercettazioni. C’è qualche disaccordo perfino tra i traduttori. C’è chi sostiene, ad esempio, che in verità quello che accadrà non sarà proprio la fine del mondo, ma un cambiamento epocale che coinvolgerà l’intera umanità.
Non so a voi, a me la prospettiva piace. Per questo credo valga la pena lanciarsi in una di quelle  avventure che prima non avremmo mai osato nemmeno immaginare. Una di quelle che da subito si presentano in tutta la loro sconcertante complessità, col loro carico di magagne, scombussolamenti dei propri ritmi, fatica, complessità. Quelle dalle quali, sappiamo, non torneremo indietro interi. Quelle che, se ci fermiamo un attimo a pensare, pur tentati, finiamo per rimandare all’anno successivo. Ed ecco che torna la profezia di cui sopra.

Rientrando in tema. Perché creare un Festival della Letteratura a Milano?
Mi vengono in mente soltanto due o tre risposte (di sicuro ce ne sono a migliaia). La prima: perché non c’è. La seconda, perché credo sia necessario. La terza, perché penso che è proprio quando ci si trova in balia della paura e dell’incertezza che si sente più forte il bisogno di bellezza.
Perché so (e poi mi fermo) per averlo già vissuto, che l’esercizio della fantasia è l’unico antidoto contro una realtà corrosiva fatta di cifre che ci sforziamo di capire senza riuscirci, nella quale il più delle volte finiamo per accettare che la somma di due più due sia quattro.

L’idea di base è quella di una rete cittadina composta da librerie, biblioteche, teatri, scuole, università, centri sociali, piazze, androni, cortili, stazioni, tram… e ovunque ci venga concesso uno spazio nel quale fare incontrare la gente con la gente. La gente che scrive e quella che legge, la gente che recita e quella che assiste, la gente che canta, che s’incanta, che suona, che stampa, che disegna, che racconta, che soffre, che denuncia, che ammalia…
Trasformare la città da bere, in una città da leggere, per qualche giorno della sua vita. Invitandola a fermare la sua corsa, soltanto un istante, e a respirare un’aria diversa.
E provare a trasformare quel filo vivente delle mille e più realtà culturali che sferragliano senza sosta in una metropoli dalla vocazione cosmopolita, in un tappeto variopinto, forse quello sul quale transitare, Maya permettendo, verso le edizioni successive.

In questo stiamo. Chi volesse prendere parte all’avventura insieme a noi, sappia che è il benvenuto. La sfida parte dal basso, da un’idea di partecipazione collettiva che spesso fa a pugni con le logiche del mercato, e qualche volta (a patto di battersi con passione) riesce ad avere la meglio. Scriveteci.

In attesa del mondo che verrà, noi vogliamo provare a ricrearlo. In fin dei conti, come sostiene Eduardo Galeano “agire sulla realtà e trasformarla, anche in infima parte, è l’unica maniera di dimostrare che la realtà è trasformabile”.