Si rumoreggia che nel 2012 finirà il mondo. Pare l’abbiano detto i Maya, ma non si trova traccia nelle intercettazioni. C’è qualche disaccordo perfino tra i traduttori. C’è chi sostiene, ad esempio, che in verità quello che accadrà non sarà proprio la fine del mondo, ma un cambiamento epocale che coinvolgerà l’intera umanità.
Non so a voi, a me la prospettiva piace. Per questo credo valga la pena lanciarsi in una di quelle avventure che prima non avremmo mai osato nemmeno immaginare. Una di quelle che da subito si presentano in tutta la loro sconcertante complessità, col loro carico di magagne, scombussolamenti dei propri ritmi, fatica, complessità. Quelle dalle quali, sappiamo, non torneremo indietro interi. Quelle che, se ci fermiamo un attimo a pensare, pur tentati, finiamo per rimandare all’anno successivo. Ed ecco che torna la profezia di cui sopra.
Rientrando in tema. Perché creare un Festival della Letteratura a Milano?
Mi vengono in mente soltanto due o tre risposte (di sicuro ce ne sono a migliaia). La prima: perché non c’è. La seconda, perché credo sia necessario. La terza, perché penso che è proprio quando ci si trova in balia della paura e dell’incertezza che si sente più forte il bisogno di bellezza.
Perché so (e poi mi fermo) per averlo già vissuto, che l’esercizio della fantasia è l’unico antidoto contro una realtà corrosiva fatta di cifre che ci sforziamo di capire senza riuscirci, nella quale il più delle volte finiamo per accettare che la somma di due più due sia quattro.
L’idea di base è quella di una rete cittadina composta da librerie, biblioteche, teatri, scuole, università, centri sociali, piazze, androni, cortili, stazioni, tram… e ovunque ci venga concesso uno spazio nel quale fare incontrare la gente con la gente. La gente che scrive e quella che legge, la gente che recita e quella che assiste, la gente che canta, che s’incanta, che suona, che stampa, che disegna, che racconta, che soffre, che denuncia, che ammalia…
Trasformare la città da bere, in una città da leggere, per qualche giorno della sua vita. Invitandola a fermare la sua corsa, soltanto un istante, e a respirare un’aria diversa.
E provare a trasformare quel filo vivente delle mille e più realtà culturali che sferragliano senza sosta in una metropoli dalla vocazione cosmopolita, in un tappeto variopinto, forse quello sul quale transitare, Maya permettendo, verso le edizioni successive.
In questo stiamo. Chi volesse prendere parte all’avventura insieme a noi, sappia che è il benvenuto. La sfida parte dal basso, da un’idea di partecipazione collettiva che spesso fa a pugni con le logiche del mercato, e qualche volta (a patto di battersi con passione) riesce ad avere la meglio. Scriveteci.
In attesa del mondo che verrà, noi vogliamo provare a ricrearlo. In fin dei conti, come sostiene Eduardo Galeano “agire sulla realtà e trasformarla, anche in infima parte, è l’unica maniera di dimostrare che la realtà è trasformabile”.