Contest fotografico: Milano Che Legge

MilanoCheLeggeAl Festival Letteratura Milano vogliamo voi lettori.
Fotografa un libro a Milano e partecipa al contest Milano che legge con l’hashtag #milanolegge:  la foto deve chiaramente fare riferimento a un libro (il preferito, quello che si sta leggendo al momento, quello con la copertina più suggestiva…) e a un luogo di Milano riconoscibile; è possibile fotografare anche persone e qualunque soggetto purché non si leda il buon gusto e non siano rappresentate immagini violente e/o in contrasto con le norme vigenti relative al diritto di pubblicazione, alla tutela della privacy e a quella dei minori.
Il contest è valido su Instagram e scade il 20 maggio 2014.

Se vorrai inviarci la tua foto anche via email, la pubblicheremo qui, sul nostro blog; invia la foto con titolo, tuo nome e consenso alla pubblicazione su “FLMilano Blog” a: info@festivaletteraturamilano.it

Le foto più suggestive e originali, su giudizio del Festival, saranno esposte al Salone della Piccola Editoria (6-8 giugno). Verifica la risoluzione delle foto che scatti e conservane una versione ad alta risoluzione: ti verrà richiesta in caso di selezione per l’esposizione.
instagram: festivaletteraturamilano

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Chiudo in bellezza il mio festival 2013: Alessandro Ducoli

comp 1

Nell’ultimo evento del mio ultimo giorno come volontaria alla fornace,  il festival mi ha fatto il secondo regalo inatteso di questa edizione: Alessandro Ducoli.

pubblico

Parlo di regalo perché senza il festival non sarebbe stato altrettanto facile per me conoscere questo cantautore di grande talento. Le ragioni per le quali Ducoli, pur essendo un artista molto importante del panorama musicale del territorio, non è universalmente noto tanto quanto altri famosi cantautori italiani, mi sono onestamente sconosciute. Credo che le motivazioni possano forse risiedere in quelle logiche di mercato che neanche so perché vengano definite logiche visto che appartengono alla sfera del non-senso. Ma non è per polemizzare che voglio scrivervi, è invece per raccontarvi il mio incontro con Ducoli e l’emozione di averlo sentito cantare per un fortunatissimo gruppetto di persone rimaste incantate.

pepiDuc

Ho contattato Alessandro Ducoli per la prima volta qualche settimana fa per iniziare a prendere accordi per il festival, avevo semplicemente il titolo dell’evento “Brumantica” e la sua mail “baccoilmatto@qualcosa…”, Bacco il matto? Mi sta già simpatico!

Ducoli out

Bacco il matto in realtà è uno pseudonimo usato qualche anno fa, durante la collaborazione con il chitarrista Nicola Bonetti. E non è neanche l’unico pseudonimo usato da Ducoli, lo troverete anche sotto il nome di Cletus Cobb, in versione folk-rock con la band Lupita’s project, ancora in gruppo con la Band del Ducoli e poi di nuovo solista come cantautore, jazzista e tanto altro. Insomma un’anima camaleontica assecondata da una voce altrettanto trasformista, in grado di passare dalla ruvidezza del rock alla dolcezza delle parole sussurrate sulle note di un piano.

pepita & ducoli

il Ducoli lo vado a prendere a Famagosta, perché si da il caso che questa domenica sia una domenica a piedi e lui e il suo pianista, Valerio Gaffurini, che arrivano da fuori con tastiera al seguito, hanno bisogno di un permesso per la loro auto. Appuntamento alle 15. Esco dalla metro a famagosta, gli mando un messaggio “Io ci sono”, mi richiama subito “Signorina!!! Noi abbiamo almeno un’ora di ritardo, eh ieri abbiamo fatto una serata, abbiamo finito tardi, siamo nel traffico…non avevo il tuo numero per avvisarti!!”
Ahhahaha, lo sapevo, se uno che si chiama Bacco arriva puntuale mi delude!! Me ne torno in metro alla fornace, almeno mollo la macchina fotografica e le birre per la festa finale.

comp Vale

Alle 16.30 ritorno a famagosta e lo vedo spuntare dall’altro lato del parcheggio: un’omone alto, vestito di nero e con cappello scuro sotto cui nasconde il viso non esattamente fresco e sbarbato. Entriamo in macchina. Ducoli gentilmente mi cede il posto e siede dietro, schiacciato tra la tastiera, il mixer e il finestrino, e mi presenta a Valerio, in questo momento alla guida, successivamente al piano, e a Pepita, la sua dolcissima cagnolina. L’omone alto e nero tutto accartocciato nel sedile di dietro, con in braccio la sua micro-cagnolina. Fanno simpatia. Più o meno come questa macchina, che se non me l’avessero detto che era una macchina avrei faticato a capirlo da sola, c’è davvero di tutto dentro. Ma Ducoli mi spiega che si tratta di una filosofia ben precisa: una volta superato un certo livello di sporco, una macchina semplicemente non può diventare più sporca, è già il massimo dello sporco. Concordo. Questa di logica, non fa davvero neanche una piega. Ripartiamo verso la fornace.

Valerio penombra mod

In macchina non ci vogliono neanche 10 minuti, ma in quei 10 minuti,  non solo riesco a costringerli a usare il navigatore, ma gli faccio comunque sbagliare strada e li porto addirittura ad un tamponamento (a lieto fine!!). Arriviamo in fornace. Dopo le difficoltà dei permessi per la domenica a piedi, la frenesia dell’organizzazione, l’ansia da prestazione, i viaggi in metro, i dissuasori telecomandati, la pioggia a secchiate, Alessandro si siede con il microfono in mano, Pepita in braccio e inizia a cantare: la sua voce calda e intensa, i suoi testi originali, brillanti, le sue capacità di intrattenitore, i racconti legati alla nascita dei testi,  mi dimentico di tutto il resto. Mi sembra di essere a teatro. Ducoli racconta, canta e non c’è più niente da dire. La mia esperienza al festival di letteratura di Milano, non poteva concludersi in maniera più emozionante!
Daria.

BNucoli

I poeti e la città

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E’ una domenica di giugno nuvolosa e afosa a Milano. Il solito tran tran di turisti impegnati a fotografare ed acquistare affolla le vie del centro. Piazza Duomo brulica di colori e voci. Tutto intorno scorre, si agita, si muove in modo frenetico.

Ma in via dei Mercanti, a pochi passi dal Duomo, si è riunito un piccolo drappello di coraggiosi che pare avere poco a che vedere con ciò che gli circonda. E’ il gruppo Abrigliasciolta che, libri in mano, inizia la sua marcia verso il Castello Sforzesco. In mano non hanno buste griffate né macchine fotografiche e nessuno lecca gelati multicolori. Si spostano solennemente tra la folla e leggono, urlano, sussurrano poesie. Passano i poeti recitando, sfidano pioggia, tram, clacson e indifferenza. Marciano per riappropriarsi della città. I loro versi risuonano in Piazza Duomo, sotto la statua del Parini di Piazzale Cordusio, nel chiostro del Teatro Piccolo.

La folla stupita gli guarda, a volte li segue, forse non capisce. Perché pare così strano che la poesia, relegata nei manuali di letteratura e nelle librerie polverose, scenda in strada. La poesia è roba da accademie, non da turistiche ed affollate domeniche pomeriggio. Ecco perché la carovana marcia; per ricordare che la poesia è una cosa quotidiana. Che la poesia può parlare di amore, ma anche di crisi, lavoro, bisogno di cambiamento, attualità.

E ci piace il modo in cui suonano nei corsi antichi queste poesie nuove, contemporanee, vive, che nei manuali di scuola di non entrano e forse non entreranno mai. Ci ricordano che la letteratura è una cosa attuale, utile, umana.

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Nuova vita per vecchie storie

L'alba si portò via la notte @ Anadima Bistrot

L’alba si portò via la notte @ Anadima Bistrot

Laura Orsolini è una donna vulcanica. La sua energia è stata travolgente e contagiosa dal nostro primo incontro al Salone di Torino. Oggi però è così emozionata che quasi non si direbbe che dietro di lei si nasconde l’irriverente e pettegola Frutta Candita, autrice del suo primo romanzo Io semino vento.

Antonio Salviani all'opera

Antonio Salviani all’opera

Raffaella dell’Anadima Bistrot ci accoglie con premura e il clima, complice l’aria rilassante e familiare del locale, si fa da subito intimo. Antonio Salviani scoperchia latte dalle tinte pastello, dispone i pennelli ed è subito all’opera: accompagna infatti la presentazione del libro con una trasformazione. O meglio, riporta in vita vecchi capi d’abbigliamento con la sua pittura. Laura fa la stessa cosa, ma con le parole: riporta in vita storie e le fissa per noi sulla carta, perché non vengano dimenticate. Perché non si perda un pezzo del nostro passato. Perché ci sia la possibilità per tutti, anche per le prossime generazioni, di conoscere un mondo che dista meno di un secolo da noi ma che sembra lontano anni luce.

Laura Orsolini/Frutta Candita, Natascia Pane e Valentina Ciannamea

Laura Orsolini/Frutta Candita, Natascia Pane e Valentina Ciannamea

Laura è qui oggi, in compagnia di Valentina Ciannamea e di Natascia Pane, per raccontarci la storia di Teresa, che ha racchiuso nelle pagine ancora calde di stampa (Luca Malini de La Memoria del Mondo Edizioni ha fatto l’impossibile perché il libro arrivasse in tempo) di L’alba si portò via la notte. Teresa, nel 1927, è una giovane donna di Gallarate che si è da subito rimboccata le maniche per far fronte a una situazione economica difficile e che, con coraggio e una buona dose di audace incoscienza, decide di partire alla volta di Mogadiscio, nella Somalia delle colonie italiane dagli anni ’20 al 1947.
Laura ha un profondo rispetto per le storie che racconta, e lo dimostra ancora una volta nella scelta, stilisticamente impegnativa e potenzialmente restrittiva dal punto di vista dei lettori, di far parlare Teresa esattamente come si esprimeva una giovane gallaratese nel 1927: in dialetto. E lo fa con accuratezza e meticolosità, affiancata da Franco e Mario Puricelli, che affinano ogni parola secondo la giusta inflessione locale. Abbiamo poi il piacere di avere con noi il dott. Antonio Giollo, “colpevole” di aver raccontato a Laura la sua storia, la storia di sua madre, l’audace Teresa. Le numerose immagini, generosamente concesse alla fine del romanzo, ritraggono una giovane donna dall’aria sicura, la nostra protagonista per l’appunto, e una coppia di fratellini in braghe corte e sandaletti in cui ci divertiamo a riconoscere il ben più adulto dott. Giollo.

L'alba si portò via la notte

L’alba si portò via la notte

E’ quasi un mese che aspetto di vedere come va avanti la storia di Teresa, da quando Laura mi ha messo in mano, con tutta l’emozione che un autore dovrebbe sempre avere, l’estratto cartaceo del libro. Una ventina di pagine leggere che ho voracemente divorato. Perché in quelle pagine c’è sì la storia di Teresa, ma c’è anche la storia di un luogo, di una generazione e di mondo con cui ho la fortuna, da brava nipote di nonna milanese, di essere cresciuta. Quelle parole, quei racconti, quel dialetto profumano di paese. Profumano della mia infanzia, di quel periodo in cui si ascoltano, incantati, i nonni che narrano vecchie storie. Una madelaine da leggere.

Natascia legge il brano in cui Teresa prepara la valigia per partire alla volta dell’Africa e io devo fare un sforzo per uscire da quella stanza, distogliere lo sguardo dalla valigia che si riempie e dai vestiti che si piegano e tornare al reale. Ma il libro si chiude e le nostre tre signore mi aiutano a ritornare al 2013 accelerando il ritmo dell’incontro, che decidono di chiudere nel modo più frizzante, con “un’intervista doppia” a Laura Orsolini vs Frutta Candita. Non posso regalarvi il libro, ma almeno guardatevi l’intervista qui.

Dalla poesia al Beat, passando per il giallo (parte seconda)

Un giro in tram, recupero la macchina e volo al Goganga. Qui mi aspettano un autore, un attore, una band vestita di tutto punto e… una serranda abbassata. Già, abbassata. Perché le serate al Goganga partono tardi e sono un tutt’uno con la notte. E noi del Festival, che amiamo insinuarci in ogni anfratto urbano, decidiamo di assecondare il ritmo dei padroni di casa. Tiriamo in lungo, facendo un ottimo uso del tempo che ci stiamo regalando per chiacchierare, conoscerci, raccontarci e viverci un po’ insieme. Un momento di calma prezioso (sarà l’occhio del ciclone?) che nel tourbillon festivaliero bisogna saper cogliere al volo.

Davide Verazzani: La Versione di Neil

Davide Verazzani: La Versione di Neil

Gli amici arrivano, il pubblico più “letterario” fa timidamente capolino dalle porte a lui poco note e qualche habitué del locale ci guarda con aria altrettanto sospetta: cosa sta per succedere questa sera sul palco del Goganga?
Una luce ritaglia uno spazio tra due microfoni e siamo pronti a iniziare il nostro viaggio: Milano-Liverpool A/R!
Davide Verazzani, con sintetico trasporto, ci presenta il suo testo teatrale, La versione di Neil (Una vita con i Beatles), che debutterà il 4 ottobre al Teatro di Ringhiera di Milano.
Neil Aspinall è stato per 10 anni prima road manager, poi assistente personale dei Beatles. Sempre al loro fianco, in studio e durante i tour, a condividere tutto con i Fab Four. Neil ha davvero visto cose che noi umani possiamo solo immaginare. E le racconta a noi questa sera, in un reading incentrato sulla particolarissima registrazione del brano “A day in the life”.

Dario Sansalone è Neil Aspinall

Dario Sansalone è Neil Aspinall

L’autore cede la parola a Dario Sansalone, che è ora padrone della scena. Ha avuto in mano il copione solo il giorno prima, eppure sembra non abbia mai letto altro in vita sua! Neil ci porta per mano a Abbey Road e le sue parole danno vita a un surreale tableau vivant di costumi, dissonanze, mormorii, accordi e follia. La genialità Fab Four. E poco a poco la vediamo lì davanti a noi, la copertina di Sgt. Pepper, capolavoro corale che si materializza nei nostri occhi, quasi un’allucinazione collettiva.

Neil ha finito il suo racconto per questa sera, e io mi tatuo mentalmente: 4 ottobre, Teatro di Ringhiera. Devo sentire anche il resto!

The Beat Barons

The Beat Barons

E poi è un attimo: sul palco si materializzano quattro ragazzi vestiti di tutto punto che imbracciano i loro strumenti. Dominic Turner saluta il pubblico e il ritmo dei Beat Barons accende il locale. La prima canzone consolida il clima, ma dal secondo pezzo in poi il locale si riempie di ballerini che dondolano i fianchi e si muovono a tempo di beat.

The Beat Barons

The Beat Barons

Siamo ospiti della serata fino a mezzanotte, dopo di noi la solita musica tornerà a riempire le pareti del locale. Ma i ballerini sono con noi, negli anni Sessanta, e non ne vogliono sapere di tornare indietro. E allora sforiamo l’orario, con la complicità dei gestori, quanto mai disponibili, e ci concediamo ancora qualche pezzo. E pure qualche bis. Balliamo, teniamo il tempo con le mani e con le gambe. Di tornare da Liverpool non abbiamo molta voglia. Ma questo è pur sempre il Festival della Letteratura di Milano e allora tornaimo, perché ancora per due giorni Milano sarà un posto migliore in cui stare.

Dalla poesia al Beat, passando per il giallo (parte prima)

Due voci di_versi a dirsi

Due voci di_versi a dirsi

Il bello di questo Festival, tra le mille altre cose, è la capacità di trasportarti da un universo all’altro senza rendersene conto. C’è di tutto, ce n’è davvero per tutti i gusti: programma alla mano, basta solo avere il tempo di fare un buon piano di battaglia, con la consapevolezza purtroppo che non si potrà vedere tutto. E il mio venerdì ne è stato un esempio quanto mai calzante.

Ore 18.30: mi presento al Vinodromo Bistrot, dove trovo Angela Greco, poetessa tarantina che qui presenta A sensi congiunti, e Antonella Taravella, che presenta le poesie di Aderenza, accompagnate da Costantino Piazza, moderatore dell’incontro. So già che non mi potrò fermare a lungo, perciò approfitto del poco tempo che ho a disposizione per conoscere i nostri ospiti.

Antonella Taravella, Angela Greco e Costantino Piazza

Antonella Taravella, Angela Greco e Costantino Piazza

Due donne solari, desiderose di confrontarsi con il mondo, pronte a farlo con i loro versi. Si parla di noi, si parla di cultura, si parla di quel che facciamo e di quel che vorremmo fare, di come manifestazioni come questa pare trovino voce solo grazie al contributo volontario e di come, fortunatamente, ci sia un riscontro di pubblico cittadino affezionato (scopro che tra di noi c’è un’affezionata degli appuntamenti de Il Pubblico Narratore). I minuti passano veloci e io ho un tram che non mi aspetta. Dopo una breve introduzione sul Festival (è sempre molto bello trovare sorrisi solidalmente increduli quando raccontiamo il “miracolo” di questa manifestazione) a malincuore saluto i protagonisti e corro a prendere il 24, direzione Duomo.

Massimo Tallone per Frilli Editori e E/O

Massimo Tallone per Frilli Editori e E/O

Corro in via Mazzini, ignoro il traffico commerciale di via Torino ma non posso esimermi da un’occhiata a quella meraviglia che è San Satiro (ahimè, chiusa) e mi infilo nel dedalo di vie che racchiudono il cortile del Dida Café. Qui c’è già Massimo Tallone ad aspettarmi in compagnia di Raffaele Zagaria.

Uno spritz con Massimo Tallone

Uno spritz con Massimo Tallone

Le referenze di Massimo, in caso i suoi libri non bastassero, sono delle migliori: la nostra organizzatrice Cristiana Zamparo ne è entusiasta e mi basta parlargli un minuto per capire il perché. Il clima è da subito molto disteso, si passa dalle chiacchiere informali alla presentazione vera e propria senza nemmeno rendersene conto.
Massimo in questi giorni sta presentando Il diavolo ai Giardini Cavour edito da E/O, ma alle spalle (letteralmente e praticamente) ha una sfilza di titoli, la maggior parte dalla ormai inconfondibile copertina gialla di Frilli Editori,  che fanno quasi pensare a un irrisolto problema di grafomania. E invece no. A differenza del Cardo, suo affezionato protagonista “cialtrone, sporco e porco, sempre sbronzo, ma in fin dei conti lucido quanto basta”, Massimo Tallone scrive con rigore quotidiano (retaggio dell’educazione calvinista paterna?) con il solo intento, dal 1984 se non erro, di scrivere sempre un romanzo migliore del precedente. E’ un autore estremamente consapevole del suo pubblico, o meglio, dei suoi pubblici, e proprio per questo scrive testi in cui i livelli di lettura, partendo da una superficie apparentemente immediata ed elementare, si accumulano fino a richiedere un lavoro di interpretazione non indifferente da parte del lettore. E con consapevolezza, distribuisce sapientemente la sua produzione a seconda delle case editrici per cui scrive, dosando sottilmente comicità e umorismo a seconda delle necessità.

Raffaele Zagaria e Massimo Tallone

Raffaele Zagaria e Massimo Tallone

Abile con la parola in tutte le sue forme, sia essa scritta o parlata, Massimo ricerca parole precise per i suoi romanzi: le sue “foglie di acero color brodo” temo mi rimarranno impresse per molto, così come il “sole euclideo” mi sembrerà ancora più bruciante del solito. La sua cura nella ricerca è sì farina del suo sacco, ma non solo: da lettore feroce, si è cibato dei grandi classici di Simenon, ama il lato meno marinaresco di Conrad e da vero intenditore suggerisce capolavori di comicità classica come Gargantua e Pantagruel di Rabelais. Nel suo percorso di costruzione a ritroso, ci confida come la famigerata “‘ispirazione” sia per lui è germinale, lo spunto di partenza che va nutrito, curato, seguito e cresciuto fino a che non prenderà la forma compiuta di romanzo.

L’incontro doveva durare il tempo di un aperitivo: i bicchieri sono vuoti da un po’, ma non vorrei proprio andarmene. Sono già in ritardo per il prossimo apputamento. Una domanda ancora, una stratta di mano, uno sguardo fiducioso ai libri che a breve leggerò e il traffico del centro mi fagocita di nuovo. Altro giro, altra corsa. Mi aspetta una serata Beat. (to be/at continued…)